Nomadland

La crisi economica ha colpito alcuni più di altri, in particolare Fern, una signora che ha dovuto completamente cambiare il suo modo di vivere. La sua vita è tutta nel suo van (chiamato Avanguard) con il quale attraverso gli Stati Uniti ogni anno passando da un lavoro all’altro, conoscendo persone nuove e incontrando altri nomadi. Si scopre un nuovo mondo all’interno del nostro, quello dei nomadi a quattro ruote e come gestiscono la loro vita una strada dopo l’altra.

È un film pieno di vita, e si vede che le due donne dietro al film volevano veramente creare un opera che resta nel cuore degli spettatori. È stata infatti Frances McDormand a convincere Chloe Zhao, dopo tante insistenze, a fare questo film. Di base, è tratto dal libro Nomadland – un racconto d’inchiesta, ma la regista ci mette molto di più. Noi seguiamo Fern (la McDormand) in tutto il suo viaggio lungo un anno attraverso gli Stati Uniti, inizialmente sola a parte in alcuni posti dove ha l’amica che le trova un lavoro, finché si unisce ad un raduno di nomadi. Qui il film si supera perché non solo vediamo l’esperienza, anche se fittizia, di Fern, ma al raduno troviamo dei veri e propri nomadi, non attori, che raccontano le loro esperienze e le loro motivazioni per le quali vivono quella vita. In particolare conosciamo Bob Wells, una sorta di guru nel loro mondo, famoso per aver scritto più libri su come vivere in un van e creatore di questi raduni.

Non è un film facile da vedere siccome la vita che è sullo schermo è completamente diversa da quella che viviamo noi. Per esempio, dopo il raduno ognuno va nel suo van e parte per la sua strada, al che ho pensato “ma perché vi dividete? Perché non vivete tutti insieme?”. Questo concetto di vita nomade, così distante dal nostro modo di vivere, è quello che il film vuole farti capire attraverso i racconti di molti veri nomadi. Tra cui il racconto di Bob Wells, che veramente ti distrugge.

Loro non hanno bisogno di compagnia o di una certezza perché sanno che si rincontreranno lungo la strada, perché è quella che unisce tutti. La metafora strada come vita è molto ricorrente nel film (ovviamente) essendo simbolo del passaggio della loro vita e di come, con i loro van, la passino in fretta e quasi senza pensarci.

Mentre seguiamo Fern vediamo dei paesaggi incredibili della natura degli Stati Uniti: dalle montagne rocciose, alle colline, al pieno deserto, non vediamo mai una città, che per loro significa solo tristezze e delusioni di una vita abbandonata da anni.

Il film è valso il leone d’oro di questa edizione della Mostra (nessuna novità in un concorso un po’ sottotono) e noi non possiamo che esserne felici e dirvi: ci vediamo lungo la strada.

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Le sorelle Macaluso

Emma Dante dirige un film tratto da una pièce teatrale di Emma Dante. Seguiamo l’infanzia, l’età adulta e la vecchiaia delle cinque (poi quattro, spoiler) sorelle Macaluso: Antonella, Maria, Lia, Pinuccia e Katia. Ambientato quasi sempre nella stessa casa, dove loro sono cresciute. Non so veramente più come descrivere questo film perché la trama è finita. È il film preferito degli Hateful di questa edizione della Mostra di Venezia e indovinate un po’ il perché? Perché era terribile! Solo il fatto che l’hanno lasciato negli ultimi giorni della Mostra ci metteva sempre più hype perché già solo dal titolo avevamo capito che sarebbe stato un papabile HatefulAward. Sentivamo qualche borbottio nelle sale di gente che aveva visto la proiezione stampa definendolo “terrificante” e “insopportabile”, eravamo prontissimi.

Ovviamente non ha deluso nemmeno un po’, anzi, era molto di più di quello che pensavamo! La struttura della storia è quasi incomprensibile. Io ammetto di non essere stato super concentrato durante la proiezione, e ci ho messo molto a capire che c’è stato un salto temporale, e che le signore che vediamo sono in realtà le bambine cresciute. Ma vabbè, diamo la colpa alla stanchezza da festival. Il film poi continua a fare salti temporali nominando un “momento terribbbile” che ha segnato la vita delle sorelle che è (spoiler) la morte di una delle cinque un giorno al mare. La scena al mare viene ripresa spesso ma mai con la morte quindi sappiamo chiaramente che qualcosa è successo, e il fatto che Antonella da adulta non si vede mai probabilmente ha a che fare con la sua morte. Ma vabbè, questo è il grande twist del film.

Ancora peggio della struttura del film sono le attrici. Ogni scena è imbarazzante, non posso nemmeno dire che è sono interpretazioni da teatro perché non è vero, sono soltanto brutte interpretazioni. Urlano, sbraitano, fanno versi a caso quando litigano, lanciano battute a cazzo senza senso e senza un minio di sentimento. Ovviamente se fosse una commedia sarebbe perfetto, abbiamo riso tantissimo, però è un film drammatico perché, vi ricordo, una bambina muore. Il film ha inoltre una quantità oscena di frasi per farsi prendere per il culo. Se facesse successo sarebbe una macchina da meme come pochi, peccato!

Non ho nient’altro da dire su questo film, non guardatelo, non pensateci nemmeno, ci sono molti altri film da vedere. Se leggete il nome di Emma Dante da qualche parte scappate il più veloce possibile.

Pieces of a woman

La prima scena di questo film mette i brividi. Un piano sequenza di 15/20 minuti che ci accompagna nella nascita e nella morte della figlia di Martha e Sean. Dall’inizio delle contrazioni, all’arrivo dell’ostetrica, l’arrivo della vita seguita, dopo pochi minuti, dalla morte della piccola.

Una sequenza che fa capire subito che non si sta guardando un film leggero, anzi, ti rimane dentro anche dopo giorni dalla visione. Dopo la morte prematura della figlia, noi seguiamo Martha (e in parte anche Sean) che cercano di rimettere insieme la propria vita dopo questo terribile evento. I problemi si ingigantiscono con l’arrivo della mamma di Martha che vuole prendere la situazione in mano, vedendo la coppia inerme agli eventi, facendo causa all’ostetrica e accusandola di non essere stata in grado di gestire il parto.

Il personaggio di Martha è spettacolare, non solo nell’interpretazione di Vanessa Kirby che le è valsa la Coppa Volpi di quest’edizione della Mostra di Venezia, ma soprattutto nella psicologia. Ogni azione e ragionamento di Martha sono delle conseguenze dirette a ciò che le è capitato e di ciò che gli altri le fanno fare per farla stare bene. Molto spesso altre persone, amici e familiari, impongono a Martha determinate cose obbligandola a farla sentire meglio, senza che lei possa seguire il suo percorso di guarigione. E qui devo fare uno spoiler perché devo raccontare una cosa che ho trovato bellissima del film. In molte scene vediamo Martha annusare, mangiare e addirittura piantare delle mele. Sul momento non si capisce esattamente il perché e si pensa quasi che è sull’orlo di diventare pazza sostituendo il frutto e facendolo crescere in sostituzione della figlia. Ebbene, alla fine, in un momento di sclero, si scopre che nell’unico momento in cui è riuscita a tenere in braccio la figlia ha sentito odore di mela. E questo diventa quindi l’unico contatto che rimane tra madre e figlia, un odore. Inutile dire che sono corse molte lacrime in questa proiezione.

È molto interessante anche il personaggio della madre di Martha (interpretata da Ellen Burstin, conosciuta per Requiem for a dream). Ovviamente l’istinto materno la fa da padrone, e anche il fatto che lei non va d’accordo con Sean. Arriva e fa subito capire che vuole proteggere la figlia da tutto quello che potrebbe capitarle, iniziando con il trovare giustizia per un evento la cui colpa non è di nessuno. Una scena bellissima è anche quella in tribunale, dove Martha si libera finalmente di questa falsa accusa e fa cadere tutta la faccenda, essendo lì solamente su obbligo della madre. Inoltre, la madre peggiore inavvertitamente le cose tra la coppia (spoiler), portando la cugina di Martha come avvocato del caso, che avrà poi una storia con Sean. Insomma, il classico esempio di una persona disposta a tutto per fare del bene ma che si ritrova solamente a peggiorare di molto una situazione già precaria.

Non è sicuramente un film facile, è molto forte e diretto, senza lasciare nulla al caso. Felicissimo per la Coppa Volpi a Vanessa Kirby, peccato non sia stato riconosciuto con nessun premio Oscar. Se volete recuperarlo lo trovate su Netflix.

Mainstream

Frankie è una ragazza che cerca il modo di diventare famosa come gli idoli che segue su tutti i social, ma senza nessun successo. Un giorno, in un supermercato, incontra Link, un ragazzo fuori dal comune che comincia ad imprecare contro la società. Lei filma il tutto e posta il video, che in breve tempo diventa virale. Lei si mette d’accordo con Link per creare un personaggio chiamato Nothing Special, per far capire alla gente che tutti questi idoli dei social non hanno appunto niente di speciale. La loro fama aumenta a dismisura finché Frankie fa delle scoperte scioccanti su Link.

Gia Coppola, la nipote di Francis Ford Coppola, torna per la seconda volta in regia con questo film fortemente contro il mondo dei social. Il cast viene tirato fuori dai trend attuali: direttamente da Stranger Things abbiamo Maya Hawke nel ruolo di Frankie, e direttamente da mille film abbiamo Andrew Garfield nei panni di Link.

La Coppola fa vedere in particolare l’ipocrisia di questo mondo, dove un tizio qualunque critica quello che fanno tutti e, paradossalmente, fa un successo incredibile. Le idee poi si mischiano un po’ tutte insieme un po’ malamente con delle emoji a caso che appaiono in giro (pure vomitate da qualcuno) e dei montaggi che vogliono essere come delle stories di Instagram. Link diventa matto con questo ideale di voler far capire alla gente che non è importante come si viene visti sui social, bisogna semplicemente essere sé stessi. La cosa degenera dopo il suicidio di una sua fan che viene derisa per delle foto senza trucco (??), Frankie si rende conto di aver completamente perso il controllo e non penso di ricordarmi come finisce il film.

Il film ovviamente tocca discorsi molto attuali e anche in modo corretto, ma più va avanti si mescolano uno sull’altro e si perde un po’ il punto finale di quello che la Coppola vuole dire. Alla fine Link ha veramente un programma che sembra quasi televisivo, per nulla un prodotto che si vedrebbe su dei social, e quella diventa la sua piattaforma dove spara frasoni contro la società. Come detto prima, è l’ipocrisia generale a farla da padrone, ma dopo un po’ diventa anche noioso vedere sempre le stesse cose senza un minimo di sviluppo o differenza rispetto ai comportamenti di inizio film (Link era già matto all’inizio, l’unica differenza che c’è alla fine è che è famoso).

Maya Hawke fa quello che può in una parte che non è niente di speciale, e Andrew Garfield fa anche troppo quando interpreta Nothing Special. Alla fine si scoprono anche cose misteriose tipo che lui è un matto scappato da un ospedale, cose che non hanno nulla a che fare con la trama o con il messaggio del film e che vanificano tutta la storia. Perché aggiungere dettagli a caso solo per dare credibilità alla storia? Piuttosto lasciaci con quello che hai e concentrati sul messaggio finale.

I am Greta

Si, lei è Greta. Non so dirvi se nel film si capisce, perché non si concentra minimamente su di lei ma unicamente sulla sua ideologia. Vediamo pochissime scene della vera Greta e di come lei affronta questa ondata di fama inaspettata, ed è molto peccato perché tutto il resto che vediamo lo si può tranquillamente trovare su Google cercando “Greta Thunberg”.

Non si capisce molto bene quando il regista ha effettivamente iniziato a seguirla per fare questo documentario, perché all’inizio vuole far sembrare che era con lei dal primo giorno che lei ha fatto il primo sciopero contro il clima (cosa molto improbabile). Ma fa niente, può funzionare per il concetto del film, una volta partiti da lì seguiamo tutti i mega scioperi che ha fatto e gli eventi in cui è stata e tutti i politici che la ignorano. Il film finisce con la sua traversata oceanica in catamarano fino a New York.

Ecco, la parte finale è forse la più interessante, vediamo tutte le difficoltà di questa attraversata che sarebbe difficile anche per un adulto allenato, figuriamoci per una ragazza come lei. Qui vediamo le sue debolezze, le sue paure, la voglia di smettere, e anche tutta la forza che ci mette in questo ideale pur di mandarlo in tutto il mondo. È veramente un peccato non aver visto di più di Greta, ma vedere solamente per il 90% del film Greta Thunberg. Ricordo anche qualche scena in famiglia, con il padre che è praticamente succube della fama della figlia. Era abbastanza divertente ma per nulla sviluppato e messo lì un po’ così.

Siccome è un personaggio unico creato dagli eventi che ci circondano e vittima di questi, sarebbe stato molto interessante vedere i suoi piani, come ha intenzione di mandare questo messaggio e soprattutto come una ragazza della sua età gestisce la fama cha sta avendo. È il classico problema dei documentari su personalità sociali: si perdono completamente nel messaggio che il suddetto personaggio vuole mandare, e fa vedere poco o niente della vera vita del personaggio, cosa che un documentario dovrebbe fare. Ovviamente non sto dicendo che il messaggio che la Greta vuole mandare non sia importante, anzi, ci mancherebbe, ma il film si chiama I am Greta, se vuoi parlare di riscaldamento globale puoi chiamare il film Il riscaldamento globale e la Greta che fa cose in questo caso lo spettatore sa a cosa va incontro.

Un altra cosa un po’ strana, che vuole far vedere l’ipocrisia dei politici che si “occupano” di riscaldamento globale, sono le scene che mostrano come questi politici se ne sbattono quando la Greta va agli eventi a fare i discorsi che poi noi vediamo sui social, e poi vediamo lei triste di essere stata ignorata. A me è sorta la domanda “ma allora perché continua ad andare a sti eventi?”. Se veramente viene ignorata in ogni situazione, non dovrebbe trovare un altro modo per mandare il suo messaggio? Però il film non esplora niente quindi non lo sapremo mai.

Per finire, un altro documentario su una personalità contemporanea sprecato in tanti discorsi poetici sul nulla. Se volete recuperare Il riscaldamento globale e la Greta che fa cose penso lo potrete trovare su Amazon Prime Video.