Ormai lo so, per me guardare un film senza lasciarmi trasportare dalle emozioni, e riuscire ad analizzarlo e scriverne in modo oggettivo senza attaccarmi emotivamente, è completamente impossibile. Cercherò di parlarne senza farmi tonare il magone in gola e la voglia di piangere ripensando a tutto quello che questo film ha smosso dentro di me senza neanche me ne accorgessi.
Spielberg, al 34esimo film e pochi giorni dopo il suo 76esimo compleanno, ci trasporta nuovamente nel suo mondo, sempre più in profondità, sempre più nella sua vita personale.
Una spiegazione individuale di quello che è per lui il cinema, di quello che è la famiglia e di tutto quello che ogni giorno sono gli ostacoli della vita verso le propie passioni e i propri sogni.
Il film si apre con la prima esperienza cinematografica del piccolo Sammy Fabelmans, figlio di un ingegnere provetto e una madre artista. Questa divisione famigliare sarà presente nella crescita del ragazzo, che già dall’inizio della sua “carriera cinematografica”, inizierà a creare cortometraggi unendo l’immensa quantità d’inventiva tramandatagli dalla madre e l’ingegnosità tecnica dal padre, per risolvere problemi cinematografici pratici come quello di dare l’impressione che le pistole di ragazzini cowboy in una delle sue prime pellicole, sparino davvero.
“I film sono sogni che non dimenticherai mai” gli sussurra la madre prima di entrare nella sala cinematografica dalla quale nascerà tutta la storia del ragazzo.
Un incidente sullo schermo rimarrà scalfitto nella memoria di Sammy, che tornato a casa cercherà di riprodurre l’incidente con i suoi giocattoli filmandoli e rendendo cosi l’incidente, riproducibile tutte le volte che vorrà “fino a che avrà affrontato la paura di quella scena”.
La storia diventa anche una crescita forzata di adattamento dei ragazzi, che, dovendo seguire il padre nei suoi cambi di lavoro, si spostano da uno stato all’altro dell’America degli anni ’60-’70. Sammy continuerà a seguire la sua passione, realizzando piccoli cortometraggi e un filmato rappresentativo della gita di fine anno della sua nuova scuola. Con una cinepresa prestatagli dal padre della sua ragazza, Sammy filma tutti i giochi fatti sulla spiaggia, e rappresenta in maniera eroica quel ragazzo che qualche settimana prima l’aveva bullizzato davanti a tutti i suoi amici.
Quelle immagini proiettate sullo schermo davanti tutti alla festa di fine anno, dimostrano il potere del cinema e quello che delle “semplici” immagini possono produrre.
Gli ultimi momenti del film poi, sono una vera lezione che Spielberg decide di mettere in atto: tutto quello che conta nel cinema non è necessariamente quello che si racconta, ma il come lo si decide di fare. Il cinema è il punto di vista dell’artista che rende unica una situazione.
In questo incredibile film, Spielberg riesce a raccontare sé stesso, i suoi sogni, una sua autobiografia di quello che ha imparato nei suoi molteplici anni nell’industria cinematografica.
Quasi in un linguaggio fiabesco, Spielberg ci dice di seguire i propri sogni, ascoltare quello che ci fa felici nel profondo, dedicarci alle proprie passioni, e anche se magari si dovrà un po’ soffrire, verremo ripagati di tutti, perché se qualcosa andrà male, ci sarà sempre una sorpresa dietro l’angolo.