Beau is afraid

Il terzo film di Ari Aster, dopo il già iconico horror Hereditary e l’ancora più spiazzante Midsommar, ci insegna che questo giovane regista è pronto a fare una lunga e memorabile carriera. È da anni che aveva annunciato questo nuovo progetto, inizialmente horror-commedia, con protagonista Joaquin Phoenix, col titolo provvisorio Disappointment Boulevard che era sulla bocca di tutti. Nessun indizio sulla trama, soltanto i due geni nascosti dietro un progetto ancor più misterioso. Beh, è adesso nei cinema, e non ho potuto fare a meno di essere alla prima proiezione per godermi questa nuova esperienza targata Aster. Perché la chiamo esperienza? Insomma, vi tiene impegnati per ben 3 ore, e Beau Wasserman, il protagonista, ci accompagna in un viaggio epico che mi ha lasciato a bocca aperta. Ma attenzione, non è tutto oro quel che luccica: se nei primi due film il messaggio che Aster voleva mandare era diretto e le metafore chiare, qui siamo nell’esatto opposto, dove ogni 10 minuti ti trovi a chiedere cosa sta veramente succedendo. Ma andiamo con ordine.

Beau Wasserman è un uomo di mezza età che abita da solo in uno dei peggiori quartieri di un’anonima città. Non salta mai l’appuntamento con il suo psicologo per tenere a bada la forte ansia e la paura del mondo esterno. Le strade sono pericolose, assassini, drogati e pazzi sono a piede libero su ogni marciapiede, nessun angolo è sicuro, soltanto il proprio appartamento. All’improvviso una chiamata: sua madre, l’unica persona con cui ha un legame, è morta. Tutti stanno aspettando lui per il funerale, e deve fare presto, il corpo si decompone e più tempo lui ci mette ad arrivare, più il funerale sarà brutto. Beau farà il possibile per arrivare il più presto possibile, inconsapevole di aver intrapreso un viaggio alla scoperta dei suoi segreti più oscuri.

Non è un film facile, anzi, non me l’aspettavo così pieno. Come spettatore completamente ignaro della trama, sono riuscito a seguire una sorta di fil rouge per la prima ora, dopo sono rimasto inerte mentre il film continuava a tirarmi pugni senza smettere fino all’inizio dei titoli di coda. Di cosa parla veramente Beau is afraid? Tutto il viaggio compiuto da Beau è un introspezione del suo trauma con la madre: lei, fin da quando era piccolo, l’ha sempre maltrattato, gli ha sempre insegnato ad aver paura di tutto, l’ha usato come cavia per le sue medicine e prodotti di bellezza, abituandolo ad una vita di dipendenze. Non riuscendo a darle niente in cambio (l’amore è condizionato) la madre è sempre stata più severa, finché – SPOILER – finge la morte pur di passare del tempo con il figlio.

Si si, sembra semplice detto così, ma questo film ha un problema, e questo problema è pure la caratteristica più bella: tutto è visto attraverso gli occhi di Beau. Tutti i pericoli, tutti i personaggi, tutti i paesaggi, sono solo rappresentazioni che la sua ansia e la sua paura creano nel suo cervello, ed è quello che noi vediamo per 3 ore filate. I caos regna sovrano e la confusione ci va a braccetto mentre te cerchi di capire cosa sta succedendo. Diventa quindi tutto troppo nascosto, niente viene detto direttamente e tutto è mascherato sotto complesse metafore. Fino a che punto un film può essere intellettuale? Chi può veramente capire il viaggio di Beau, oltre a Beau stesso? Io non ho nessuna conoscenza della psicologia, men che meno del trauma da abuso genitoriale (ho cercato su Google), cosa posso aver effettivamente capito di questo film? Lo trovo un peccato visto che l’idea generale ovviamente si capisce ma si arriva ad un certo punto che, come spettatore, sei sfinito di vedere scene su scene che non fanno altro che confonderti, nessuna ti da un appiglio per comprendere e nemmeno una chiave di lettura, e continui il film su una miriade di dubbi.

Non fraintendetemi, adoro i film che nascondono i significati e hanno bisogno più di una visione per essere compresi (quante volte avrò visto mother! per capire tutto?), ma qui siamo ad un livello più alto. Sembra quasi che bisogna essere esperti in un campo per cogliere ogni significato. Non basta più una bella metafora costruita bene (esattamente come Hereditary), o lo studio di un’antica religione (si si, è Midsommar), per rendere il film attrattivo o intellettuale, no, bisogna sempre avere di più e, soprattutto, domandare di più dal pubblico. Ovviamente dopo aver visto il film ho passato almeno un’ora a cercare articoli e video che lo spiegassero, invano, siccome tutti dicevano le stesse cose, concentrandosi unicamente sul trauma di Beau, senza nessun dettaglio sugli altri personaggi o le altre vicende del film. Insomma, a me sembra che nessuno abbia veramente capito il significato di questo film, e di conseguenza mi chiedo qual è l’interesse per un regista di fare un film così complesso da non venir compreso. Alcuni mi diranno: “ma Ariele, probabilmente è uno di quei film in cui ogni spettatore vede e capisce qualcosa di diverso, ognuno ha la sua visione e la sua comprensione”. Al che risponderei, certo è possibile, ma se qualcuno dovesse veramente avere la relazione madre-figlio come quella di Beau, beh mi dispiace molto.

Nonostante tutto il film riesce a catturare l’attenzione (aspetta, è il film o la voglia di capire?), e ci sono pure delle scene introspettive incredibili che non sto qui a raccontare visto che ho già fatto molti spoiler. L’interpretazione di Joaquin Phoenix è incredibile come sempre, mi sembra quasi inutile dirlo, ma riesce a dare profondità persino all’ansia quest’uomo.

Aster ancora una volta si addentra nella psiche umana e nelle brutte eredità della genealogia. Questa volta, purtroppo, ci mette un po’ troppo e si lascia il cinema molto confusi ma con qualcosa su cui pensare. Bisogna far entrare Beau nel proprio cervello e, dopo giorni di riflessioni, si avrà qualcosa in più grazie alla sua avventura.

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