Lightyear

Ah, gli spin-off, questo gran mistero. Una leggenda dice che, quando uno spin-off viene creato, gli dèi lanciano una moneta: se esce testa sarà un bel film, se esce croce sarà un film del cazzo. Una via di mezzo non esiste. Agli dèi è stata data questa difficile scelta con il nuovo film Pixar, Lightyear, cioè il film che ha ispirato il giocattolo di Toy Story. Per quanto questo film fosse innecessario, beh, al lancio della moneta è uscito testa.

Buzz Lightyear atterra, con altri Space Rangers, su un pianeta sconosciuto. Vengono attaccati da mostri e, durante la fuga, Buzz fa un incidente e distrugge il cristallo per la guida a velocità luce. Questo errore obbliga tutto l’equipaggio a dover ricostruire la nave e trovare un modo per creare un altro cristallo. Ma c’è un problema: per Buzz nello spazio passano solo pochi minuti, sul pianeta in realtà passano anni. Buzz fa il possibile per trovare una soluzione al problema che ha causato, mentre gli anni passano e il nuovo mondo cambia.

Avevo zero aspettative per questo film. Toy Story è bello così com’è e non si sentiva assolutamente il bisogno di sapere perché il giocattolo di Buzz esiste, quindi il film mi dava la sola impressione del classico mangiasoldi (che probabilmente è, ma almeno è bello). È in realtà molto sorprendente. La trama è, soprattutto per almeno i primi 30 minuti, molto particolare. Vediamo tutti i tentativi di Buzz di arrivare a velocità luce nello spazio e, ogni volta che tornava sul pianeta, per i suoi amici passato 4 anni. La società evolve, i suoi amici invecchiano, ma lui rimane sempre fisso con il voler trovare una soluzione, persino con tutti questi cambiamenti davanti ai suoi occhi. Solo quando si è già inoltrati nella trama troviamo personaggi secondari che accompagneranno il nostro eroe nella sua missione, ma fino a lui abbiamo solo Buzz, e il suo senso di colpa per quello che ha fatto.

Questa trama è ancora più strana se si pensa che è un film Pixar. Sono un grandissimo fan, ma mi rendo conto che seguono sempre lo stesso filo e lo stesso tipo di film. Lightyear, per quando sembri un film casuale, è invece abbastanza complesso (come la Pixar ci insegna in ogni suo film d’animazione) e più originale di quello che ci si aspettava. Alla base del messaggio è il dover essere in grado di accettare i propri errori.

Dopo l’incidente di Buzz, tutta la colonia presente nella nave è rimasta bloccata in questo pianeta inospitale. Inizialmente, era un obbligo trovare un modo per scappare da lì e tornare alla “civiltà”. Più Buzz fa tentativi nello spazio, più il tempo sul pianeta passa, e la gente si abitua a quella situazione. Tutti tranne Buzz. Ogni volta che torna, vedendo la gente invecchiare e la colonia cambiare, si sente solo più in colpa di quello che ha fatto, nonostante le vite dei suoi amici stiano lentamente migliorando nel loro nuovo mondo. Per quelli che sul pianeta sono 4 anni, per lui sono solamente 4 minuti, e lui sta indirettamente perdendo tutta la sua vita per cercare di risolvere l’errore che ha commesso (ormai) anni fa.

Da qui, spoiler – Si viene poi a conoscenza di Zurg, il cattivo con cui già abbiamo familiarità da Toy Story. E se ci ricordiamo bene Toy Story 2, sappiamo pure che è il padre di Buzz. Beh, a quanto pare è una cazzata, perché Zurg è in realtà il Buzz del futuro. Tormentato dal trovare una soluzione, continua ad andare sempre più avanti nel futuro, finché la tecnologia è talmente avanzata che trova una macchina del tempo (in realtà non è così semplice ma ve la faccio breve). È quindi deciso a tornare indietro a quando ha fatto l’incidente per evitare che accada, ma non ci riesce senza un nuovo cristallo, ed è qui che incontra il nostro Buzz, creando una nuova linea temporale. Quindi il Buzz del presente, dopo aver conosciuto i nipoti dei suoi vecchi amici (che si, sono già morti, ed hanno avuto famiglia), vede questa versione di sé stesso completamente ossessionata dall’errore commesso, e si rende conto delle vite che verrebbero distrutte se l’incidente venisse cancellato.

Insomma, come dicevo all’inizio, la storia è abbastanza complessa e molto particolare, soprattutto per un film d’animazione. Anche per quanto riguarda la comicità, che di solito è presente in quasi tutti i personaggi dei film Pixar, qui è ridotta al minimo soltanto in un gattino robot (che fa veramente molto ridere). Per quanto sia raro che gli dèi facciano uscire testa nel loro lancio della moneta, stavolta hanno fatto veramente centro.

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Uncharted

Dopo tantissimi tentativi di portare il mondo dei videogiochi al cinema, Sony Pictures ci riprova con una delle saghe videoludiche più famose, giocabile su PlayStation. Uncharted, il gioco, può essere descritto come un moderno Indiana Jones, dove bisogna indagare misteri vecchi di centinaia di anni nei panni del ladro Nathan “Nate” Drake. Con lui, conosciamo anche tantissimi altri personaggi nel corso dei 4 giochi: il complice e mentore Victor “Sully” Sullivan, la cacciatrice Chloe Frazer e la reporter Elena Fisher. In passato, ero un grandissimo fan della saga, avendo giocato a tutti e 4 i titoli, ma ormai è passato un bel po’ di tempo e i ricordi sono abbastanza sfocati. Devo quindi ringraziare due Hatefan d’eccezione, Nicola e Arianna, che quando si parla di Uncharted sono due esperti, e che mi hanno aiutato con questa recensione. Ma basta parlare dei videogiochi, siamo qui per parlare del film.

Il film vede un Nathan Drake (Tom Holland) più giovane di quanto siamo abituati nella sua prima avventura con Sully (Mark Wahlberg). Dopo essere stato abbandonato dal fratello, Nathan conosce Victor Sullivan che gli propone un colpo leggendario: trovare l’oro nascosto dalla ciurma di Magellano durante la circumnavigazione del mondo. Ovviamente i due non sono gli unici sulle tracce dell’oro, anche l’eccentrico ricco Santiago Moncada (Antonio Banderas) vuole metterci le mani, pretendendolo come eredità di famiglia.

Tagliamo corto: il film è pessimo. Io veramente non capisco perché continuano a fare film basati su videogiochi quando non ce n’è nemmeno uno mediocre, fanno tutti schifo. Tralasciamo la scelta di Tom Holland che, tutto sommato, ci sta, non è malissimo come Drake, ma è una scelta basata sull’incasso sicuro di averlo nel film piuttosto che avere un attore veramente preso per la parte. Nel resto, non so cosa dire di positivo. Il film è un macello di cose, non c’è nessun mistero da svelare, gli indizi sono tutti già detti a casaccio e devono soltanto leggerli in ordine cronologico (visto che hanno già un libro con gli appunti di Magellano!) invece di leggerli a cazzo. Vorrei anche mandare un saluto ad Antonio Banderas che porello probabilmente ha problemi ad arrivare alla fine del mese per scegliere questa parte veramente insulsa. Penso sia il cattivo più inutile della storia del cinema: si vede per più o meno 15 minuti (su 2 ore) e SPOILER viene tradito e ucciso, e basta il cattivo diventa un’altra. Il film dà il massimo di sé nelle scene d’azione, che sono uguali a qualsiasi altro film d’azione mediocre recente, nulla di nuovo, tutto già visto. Lasciamo anche perdere la scena finale del film, che già si vede nel trailer, dove due barconi vengono presi con degli elicotteri e la gente si mena saltando da un barcone all’altro in volo. Ovviamente non è che mi aspetto un film realistico dove Drake prende un pugno e rimane in ospedale per una settimana, ma qui siamo veramente ad un livello dove guardi lo schermo e ti chiedi solamente “Ah ok vediamo fin dove arriva sta merda”, con zero interesse. Un problema abbastanza grande è anche l’assenza di dimensione dei personaggi. All’inizio Sully e Chloe vengono letteralmente presentati con una frase, e basta, non si sa niente di più sui personaggi.

Tutto questo senza fare nessun legame con il videogioco, perché, miei cari, è proprio questa la parte dolente. Uncharted – Il Film non ha niente a che fare con Uncharted – Il Videogioco. Pubblicizzato come prequel di tutti i giochi, quindi ancora prima di Uncharted 1, sei già confuso nei primi minuti, visto che è ambientato attorno al 2020, quando Uncharted 1 è uscito nel lontano 2007. Momento topico del film è l’incontro tra Nate e Sully che, indovinate un po’, noi già vediamo in Uncharted 3, ed è completamente diverso da quello che si vede nel film. Più che un prequel sembra un universo parallelo dove fanno le cose a caso. Il personaggio di Sully in sé è completamente sbagliato rispetto all’originale: nel film è quasi più coglione lui di Nate, quando invece è sempre stato il cervello delle loro avventure, e mentore di Drake. Un’altra parte fondamentale nei giochi è la presenza e la minaccia del villain, che qui è quasi un pagliaccio. Il cattivo di Banderas si fa sostituire da un’altra la cui minaccia è quella di chiamare scagnozzi e basta. Non c’è nessuna sfida, solo inseguimenti e botte finché il tutto finisce miseramente. Inoltre il film sembra una raccolta di scene già viste nei videogiochi, come quella di Uncharted 3 di Drake che cade dall’aereo in volo, uguale identica a come si vede nel film. Quindi a sto ragazzo è successo due volte nella vita di cadere da un aereo in volo senza paracadute? In due modi identici? Vabbè.

In generale, non capisco l’utilità di dire che il film è legato ai videogiochi quando i due non hanno nessun legame. Bastava dire che sarebbe stato un film nuovo, stand-alone, o una rivisitazione dei videogiochi, e basta, finiva lì, rimaneva un film brutto ma senza alcun legame con le storie raccontate nei videogiochi.

Una delusione dietro l’altra, ma la più grande arriva nei titoli di coda, quando scopro che la colonna sonora è stata fatta da Ramin Djawadi. Quest’uomo si sta facendo conoscere come un grandissimo compositore (c’è lui dietro a Game of Thrones e a Westworld!), ma questo penso sia il primo film in vita mia dove ho odiato profondamente la colonna sonora. Ovunque c’erano canzoni che stonavano con le scene, ma soprattutto, il videogioco ha una colonna sonora stupenda che viene usata letteralmente due volte e sbolognata nei titoli di coda. Veramente un imbarazzo.

Un altro tentativo è stato fatto, un altro fallimento si aggiunge alla lista. Vi prego, lasciate i videogiochi dove sono e non toccateli. Ora godetevi una delle colonne sonore più famose della storia dei videogiochi e non andate per nessun motivo a vedere Uncharted al cinema.

P.S. Siete fan di Uncharted e volete vedere qualcosa di veramente fanno bene? Allora godetevi questo cortometraggio fan made con Nathan Fillion nei panni di Drake. Ecco, è questo che c’era bisogno sul grande schermo.

The Batman

L’uomo pipistrello è tornato al cinema con una nuova versione di Matt Reeves (regista del primo Cloverfield e di qualche film del Pianeta delle Scimmie). Un Bruce Wayne, più giovane di quanto siamo abituati, è ancora tormentato dalla morte dei genitori e affamato di vendetta. Lo seguiamo nella sua prima collaborazione con la polizia di Gotham City, in particolare, con il Commissario Jim Gordon (Jeffrey Wright) mentre seguono le tracce del misterioso Enigmista (Paul Dano) che terrorizza la città prendendo come vittime le personalità più conosciute di Gotham. In tutto il bordello conosciamo anche altri personaggi che animano la città, tra cui Catwoman (anche se non viene mai chiamata così, interpretata da Zoe Kravitz) e il Pinguino (Colin Farrell).

Avete in mente quando volete che un film vi piaccia? Ecco, io sono entrato così in sala, anche con le aspettative molto alte, avendo aspettato a lungo questo film dopo tutte le volte che lo hanno spostato per via del covid. Ma niente da fare, non sono uscito soddisfatto. Ci sono molte cose che non convincono, anche se in fondo il film intrattiene abbastanza bene. Vi dico che comincio senza spoiler ma alla fine ne farò qualcuno.

Cominciamo dall’inizio. I primi 15 minuti sono tutti per l’introduzione di Batman, o Mr Vengeance come viene chiamato molto spesso, e sono 15 minuti veramente fighi. Il film non è un origin story. Noi arriviamo già in una Gotham paurosa e governata dal caos e dalla criminalità. In questo inizio ci viene mostrato come il tutto viene gestito attraverso la paura che Batman potrebbe apparire nel buio da un momento all’altro. Un introduzione veramente da brividi e ben fatta. Non solo rende l’idea dell’ambientazione ma anche con che tipo di anti eroe abbiamo a che fare.

Ecco, per quanto riguarda l’introduzione (e l’interpretazione) di Bruce Wayne, è esattamente l’opposto. Il personaggio è inesistente. Le poche volte che Robert Pattinson interpreta Bruce Wayne sembra soltanto un ragazzino emo di metà 2005, con tanto di frangia unta che copre gli occhi. Inoltre, Bruce Wayne non parla mai, Batman invece è un chiacchierone. Il personaggio ha zero carisma e annega in quello che vuole fare sembrare sia il “tormento per la perdita dei genitori”. O almeno così sembra visto che, come detto prima, non è un origin story, quindi non si sa con esattezza da cos’è tormentato sto porello. In poche parole, in questo film Bruce Wayne è l’alter ego di Batman, non viceversa.

Di per sé, è un cinecomic molto diverso rispetto a quelli a cui siamo abituati. Per molti versi è piuttosto un film crime con qualche personaggio stravagante. Ci sono alcune scene che sembrano tirate fuori da un fumetto, altre che sono puramente poliziesche. L’ambientazione è chiara, dark e depressa, mentre il genere è un po’ un mix di tante cose che restano lì, cercando di diventare omogenee.

Ma parliamo un po’ di tutti questi “personaggi stravaganti”. In questa prima parte non dirò molto, dirò più in dettaglio tra qualche paragrafo. Mi limito a dire che non sempre più siamo, più ci divertiamo. Alcuni personaggi sono proprio fini a sé stessi e, con o senza, il film esisterebbe lo stesso, e come ben sappiamo è un gran peccato visto che i personaggi di Batman sono sempre dei grandissimi personaggi. Per quanto riguarda il villain del film, cioè l’enigmista, non è malaccio, anche se abbastanza assente in quanto si seguono i suoi indizi piuttosto che cercare la persona. In un momento del film ci si dimentica pure che c’è sto enigmista perché Batman e Gordon sono troppo presi dal seguire sti indovinelli, ma vabbè.

Direi che la recensione non spoiler finisce qui. Tutto sommato il film intrattiene, anche la colonna sonora non è male. Ma ci sono molte scene che lasciano veramente confusi e forse, invece che basarsi sulla quantità (sia di personaggi che di durata) era meglio concentrarsi sulla qualità. Se volete continuare sappiate che non da qui in avanti non c’è nessuna pietà.

Perché Catwoman? A cosa serve? E soprattutto, come può essere considerata, quella roba tra lei e Batman, una “storia d’amore”? Terribile. Alla fine, quando lei se ne va da Gotham e vanno via insieme in moto (scena terribile) finché lui la vede allontanarsi dallo specchietto, non ho sentito nessunissima emozione. Non c’è chimica tra i due personaggi e mi sa nemmeno tra i due attori. Non so dirvi se Robert Pattinson sia stata la scelta giusta per interpretare Batman. Come detto prima, in realtà, come Batman regge, ma come Bruce Wayne… Lasciamo perdere. Il personaggio inutile che non potevo nominare prima è il Pinguino. Sono tutti solo contorni che parlano con Batman, e alla fine lui scopre le cose da solo anche senza il loro aiuto, il che li rende completamente inutili.

Anche la struttura del film all’inizio non mi convinceva, sembra veramente di star guardando un videogioco. Cercano indizi, cutscene di personaggi che parlano, nuovo luogo dove cercare indizi, cutscene di personaggi che parlano, e così via. Sembra quasi non ci sia un legame tra una scena e l’altra.

Parlando di scene che lasciano confusi, oltre a quella pessima di Batman e Catwoman che vanno via in moto, ve ne cito altre due:

  1. Catwoman che vuole sparare a John Turturro e Batman che all’ultimo le tira via la pistola di dietro in un abbraccio forzato. Ci sono più o meno 20 o 30 secondi dove loro due “lottano” ma in modo molto finto che appunto, lascia veramente confusi.
  2. Alla fine, Batman si butta nell’acqua tagliando un cavo dell’alta tensione, ma perché? Non aveva nessun motivo per farlo. E la musica era pure drammatica come se stesse per morire, ma no, torna subito a galla. Boh.
  3. Bonus. Batman è KO durante una lotta. Dal nulla tira fuori dalla tasca una siringa con del liquido verde che si inietta nella gamba. È preso da una furia di botte, picchia tutti a sangue e né Gordon né Catwoman dicono niente. E basta, la scena è finita. Io non capisco.

Io volevo veramente che sto Batman mi piacesse, ma sono uscito dalla sala veramente confuso da quello che ho visto. Non capisco alcune scelte e alcune scene. Di per sé, non ero nemmeno gasato mentre vedevo il film, andavo avanti trascinato dalla trama e basta. Tra l’altro, Batman alla fine fa pure un cambiamento radicale a caso, tanto per finire il film in positivo senza nessun motivo, eh vabbè.

Alla fine, ovviamente, piccola scena con quello che dovrebbe essere il futuro nuovo Joker, quindi è probabile che Battinson lo rivedremo al cinema tra qualche anno. Sperando che mi sarò fatto un idea diversa, attendo con ansia il ritorno di Mr Vengeance.

Scream

Dopo 11 anni Ghostface torna a Woodsboro, chi sarà adesso il maniaco assassino fissato con i film horror? Stavolta i protagonista sono (quasi) tutti nuovi, seguiamo in particolare Tara e Sam Carpenter. Dopo essere stata attaccata da Ghostface, Tara chiede aiuto alla sorella Sam per trovare il colpevole nella sua cerchia di amici. Sembra familiare? Beh, se avete un minimo di conoscenza sulla saga di Scream vi sembrerà più che familiare, perché è la trama base di ogni Scream. Incredibile ma vero, questa volta sono riusciti a superarsi: il film non è solo una presa in giro e una critica al cinema che sta uscendo attualmente, ma anche un tributo a tantissimi film horror, esattamente come lo Scream originale. Attenzione, non li sto mettendo allo stesso livello eh, Scream (quello del ’96) è di un altro livello rispetto a Scream (quello del 2022).

Esatto, nonostante sia Scream 5, il titolo è soltanto Scream, visto che va molto di moda riprendere il nome originale di un film nonostante ce ne siano stati molti altri in mezzo ai due. E, fidatevi, questo Scream non perde un colpo a criticare i sequel dei nostri giorni. Ovviamente fa tutto attraverso Ghostface e alla famosissima saga di film tratti dalle vicende di Scream 1, la saga di Stab (non vi sto qui a spiegare cos’è Stab, se non avete visto tutti gli Scream, vi prego recuperateli). Beh, anche di Stab hanno fatto un nuovo capitolo, l’ottavo per la precisione, ma nonostante tutto si chiama semplicemente Stab, niente di nuovo no? Persino i personaggi sono consapevoli che Ghostface questa volta non sta facendo un semplice sequel, nono, trovano persino un nome molto fancy per quello che gli sta accadendo: un legacyquel. In poche parole, il tipico personaggio professionista di film horror (RIP Randy), spiega chiaro e tondo che questo è un film legato alla saga originale, certo, non un reboot, ovviamente, ma i personaggi sono tutti nuovi, ma come?, ah no! ci sono i personaggi dei classici (da qui legacy) che aiutano i nostri nuovi beniamini. Eh niente, già qui ti pieghi in due dal ridere perché in 5 minuti hanno distrutto l’80% dei film che sono usciti negli ultimi anni: Star Wars, Ghostbusters, Creed, Blade Runner, Matrix, e così via. Certo, anche in questo Scream tornano i personaggi originali: Sidney, Gale e Dewey sono tutti lì, quindi ci mettiamo pure Scream nella lista. Persino la struttura del film riprende per filo e per segno le caratteristiche di ogni legacyquel: i giovani che si imbattono in qualcosa che non conoscono, incontrano i vecchi personaggi, loro aiutano i nuovi protagonisti, insieme sconfiggono la minaccia, i vecchi personaggi passano la torcia ai nuovi, e via con un altra saga nuova di zecca! Una volta che il film te lo sbatte in faccia non riesci e non pensarci, e per quanto siano stupide alcune cose che succedono, beh, non riesci a smettere di ridere. Non dimentichiamo inoltre una caratteristica importantissima dei legacyquel: i nuovi protagonisti scopriranno, ad un momento convenevole ovviamente, di avere un legame di sangue con i personaggi originali. Succede anche in questo film? Ma certamente! Piccolo spoiler: la protagonista è la figlia illegittima di Billy Loomis, cosa volete di meglio?

Il film non si ferma mica qui con le critiche, un tassello molto importante, come in ogni Scream, lo fa il fandome. Non è una novità, e nemmeno uno spoiler, che Ghostface è sempre qualcuno ossessionato dalla saga Stab che vuole riprendere i passi di Billy e Stu. Il film tratta in particolare i fan sempre nel discorso dei legacyquel. Perché viene fatto un legacyquel? I produttori sanno bene di non poter fare un film che è continuazione diretta degli originali, perché infastidirebbe troppo i fan e farebbe poco incasso, e non può nemmeno fare qualcosa di completamente nuovo, perché non ha abbastanza legame con il contenuto originale. Qual è la via di mezzo? Esatto, un legacyquel: una storia classica con personaggi nuovi accompagnati dagli originali. È impressionante come in questo Scream riescano a prendere per il culo così tante cose contemporaneamente.

Per il resto, fa anche parecchi richiami agli horror, anche solo per il fatto che un personaggio si chiami Wes (come Wes Craven, regista di moltissimi horror classici tra cui i 4 Scream) e che le due protagoniste fanno Carpenter di cognome (come John Carpenter, un altro regista di film horror). Altri richiami sono delle scene che prendono in giro le basi degli horror. Una in particolare dove un personaggio apparecchia la tavola e noi sappiamo che Ghostface è in casa. Ci aspettiamo un jumpscare da un momento all’altro ma, beh, non succede mai. Quindi stiamo letteralmente almeno 7 minuti a guardare un ragazzo che apparecchia la tavola. E basta. Geniale.

Non so come ci siano riusciti, ma stavolta hanno veramente preso l’essenza dello Scream originale e l’hanno modellata per criticare il cinema moderno. All’inizio sembra un film scemo ma è talmente intelligente da insultare un intero genere cinematografico di cui lui stesso fa parte. Non so ancora cosa state aspettando, andate subito a vedere Scream (2022) al cinema!

Nightmare Alley

Sono passati 5 anni da quando Guillermo del Toro ha vinto l’Oscar per il miglior film con La forma dell’acqua e finalmente torna nell’inizio del 2022 con il suo nuovo attesissimo film. L’Oscar sembra avergli fatto una grande pubblicità perché qui, per il cast, non si è badato a spese. Sono gli anni ’40, noi seguiamo Stan Carlisle (Bradley Cooper is back), un uomo che, per scappare dal suo passato, si unisce ad un luna park itinerante. Qui conosce molti personaggi stravaganti che gli insegnano ogni genere di trucco, tra cui il mentalismo. Decide di scappare con Molly (Rooney Mara) per fare il loro numero di coppia in hotel e ristoranti e diventare famosi. Durante un esibizione, Stan conosce una psicologa (Cate Blanchett) che diventerà sua complice. Lui non ne ha mai abbastanza e usa tutto quello che gli hanno insegnato solo per diventare più ricco, ignorando gli avvisi dei suoi vecchi amici.

Ve lo dico già da subito, di “Nightmare” non ha molto, e di “Alley” men che meno. Il film dura la bellezza di 2 ore e 30 (che fine hanno fatto i bei film di 90 minuti?) e all’inizio la durata si sente. L’introduzione è molto lenta e prende almeno metà film. Di per sé il film è diviso in due: quando Stan lavora al luna park e impara i trucchi da mentalista, e quando lui e Molly vanno in città ad esibirsi e conoscono la psicologa. Non è per forza una cosa negativa il fatto che l’introduzione sia così lunga perché conosciamo veramente molto bene ogni personaggio, da cosa è spinto, perché è al luna park e cosa vuole nella vita. In più, vediamo come Stan approfitta di ogni cosa che impara durante questo lavoro e già cerchiamo di capire cosa potrà andare storto nel film. Quindi questa introduzione, in fin dei conti, apre molte porte e molte domande alle quali cerchi di dare una risposta.

Se non altro, in questo film troviamo un Guillermo del Toro classico, con una piccola differenza. Se di solito i suoi film ci fanno o sognare (la forma dell’acqua) o avere incubi per mesi (il labirinto del fauno), questo ci vuole tenere saldi con i piedi per terra. Sin dall’inizio ce lo dice chiaro e tondo: tutto quello che questi “maghi” fanno, non sono altro che trucchi, nulla è vero. Anzi, mettono pure belle proibizioni nell’uso di questi trucchi: lo spiritismo è assolutamente vietato. Anche se lo spettatore rimane affascinato da come Stan riesce ad abbindolare il suo pubblico con le sue abilità da mentalista, nella scena dopo ci viene subito spiegato come ha fatto, senza lasciare niente al dubbio. Stavolta il sogno di Guillermo del Toro è la realtà, e come la persona giusta può manipolarla a suo piacimento per fare spettacolo. Il film ha i suoi alti e bassi, ammettiamolo, bisogna arrivare almeno a metà per essere veramente presi dalla storia (per me è stato così), una volta che il film ti cattura lo fa per bene visto che ha lasciato delle belle fondamenta nell’introduzione. Il finale in particolare è una figata, però esci in ogni caso dalla sala con un po’ di amaro in bocca.

Parliamo un po’ di sto cast. Bradley Cooper era da un po’ che non lo vedevo al cinema (a parte Licorice Pizza, ma c’era tipo per 15 minuti), e non mi ha fatto entusiasmare, è abbastanza anonimo in questo film, solo alla fine dà il meglio. La vera persona che ruba la scena a tutti è Cate Blanchett, bravissima nel ruolo della psicologa misteriosa che si fa fregare da Bradley. Si porta dietro tutto il mistero da regina degli Elfi che è ineguagliabile. Sono molto triste per Toni Collette, sono un suo grande fan ma la sua non era una grande parte e ha fatto quello che ha potuto porella. I complimenti a Willem Dafoe vanno fatti che è sempre un grande continua così.

Di questo film mi è piaciuto particolarmente il finale che è una figata (non faccio spoiler tranquilli). Come dicevo prima, più o meno a tre quarti si capisce dove il film vuole arrivare, e vedi tutto che piano piano crolla, così come gli amici di Stan lo avevano avvisato. Il finale non è altri che una conseguenza diretta delle decisioni che Stan ha preso all’inizio del film. Solo una cosa dico, perché per il protagonista è veramente un tassello importante: l’alcool in questo film è veramente odiato. Stan non ne fa mai uso, e chi ne fa, beh, lo porterà a fare una brutta fine. Sembra sia la rappresentazione della perdita di controllo che può capitare ad ognuno di noi. Ogni volta che un personaggio beve, perde il controllo su quello che gli succederà, e più volte la bevanda viene marchiata dai personaggi come il veleno. (Piccolo spoiler) Stan non beve mai alcool, in una scena lo beve e da lì in avanti per lui inizia la catastrofe. Siccome per questi personaggi avere il controllo sui loro trucchi è così importante, perderlo significa smettere di vivere e finire col credere che quello che si fa è vero, non è più un trucco.

Insomma, sì il film è lento, sì il film è lungo, ma è anche bello pienotto e nonostante tutto è una visione piacevole. Andate al cinema dal 27 Gennaio per non cascare in nessun trucchetto.

Licorice Pizza

Siamo in pieni anni ’70. In un giorno di scuola, il 15enne Gary Valentine conosce la 25enne Alana Kane. Qui inizia la loro storia che ci porterà nel viaggio della loro crescita, la loro interazione con il mondo esterno ma soprattutto la loro relazione. Alana è una ragazza che cerca un posto nel mondo e vuole fuggire al più presto dalla cittadina in cui vive con i suoi genitori, mentre Gary è l’esatto opposto, un 15enne che sta iniziando una carriera da attore e coglie ogni occasione per fare conoscenze e iniziare una nuova impresa imprenditoriale. Il loro tira e molla ci tiene incollati allo schermo mentre vediamo ogni cambiamento nella loro crescita.

La trama del film, come detto prima, è molto semplice. Noi vediamo entrambi i punti di vista dei due ragazzi e vediamo come i due vivono questa relazione in modo diverso: Gary vuole che Alana sia la sua ragazza, mentre lei sa benissimo che non può mettersi con un minorenne. Nonostante tutto, si rimane in questo limbo del non-detto dove loro non si dicono mai realmente quello che pensano e quello che provano l’uno dell’altra e stanno perennemente in uno stato di gelosia verso quello che l’altro fa. Il film inoltre entra anche un po’ nell’assurdo con il personaggio di Gary. Lui è praticamente un giovane adulto: conosce tutti, ha contatti ovunque e sa esattamente come approfittare delle informazioni che riceve. Il fatto è che tutte le idee che ha le mette in atto al 100%, ed è un po’ assurdo che un 15enne apra tutto da solo due negozi che fanno un successo incredibile.

In ogni caso, tutto questo mistero attorno al personaggio di Gary ci fa capire il motivo per cui Alana è così attratta da lui: è tutto quello che lei vorrebbe essere. Lei si sente chiusa e bloccata nella sua famiglia e come unico modo per uscire pensa di dover trovare una persona che la porti via (e ci prova molto spesso nel film). Invece vede che Gary riesce a fare tutto da solo, senza nessun aiuto esterno. Non dimentichiamo che, oltretutto, Gary ha pure 10 anni in meno di Alana. Quindi oltre alla gelosia di questa relazione non corrisposta, Alana prova anche la gelosia di non riuscire ad essere come lui, bensì essere dipendente da altri pur di esaudire i suoi sogni.

Il film ti fa viaggiare in una trama molto semplice con una regia e fotografia bellissime. All’inizio non sono nemmeno riuscito a contare quanti piani sequenza ti portano dentro la scuola mentre seguiamo il primo incontro tra Alana e Gary. I due ragazzi, in particolare Alana, danno un interpretazione incredibile che va in crescendo fino al finale. Ammetto che ad un certo punto ho sentito un po’ le 2 ore e 20 di film, ma nell’ultima parte il film riprende in gran forza e ti toglie subito dalla noia.

Paul Thomas Anderson dimostra ancora una volta come basta una storia semplice scritta bene per far sognare tutti gli spettatori. Uscirà al cinema il 3 Febbraio (se ancora non lo posticipano) e vi straconsiglio di andare a vederlo.

The Rescue

Che film, che cinema, che storia!

“Rimarrò con gli occhi gonfi dal pianto per una settimana credo! Che bella cosa che sono gli esseri umani, che forza che hanno quando si mettono insieme e uniscono le forze per una ragione comune”. Scrivo così in un messaggio whatsapp durante lo scorrimento dei titoli di coda, con in sottofondo Belive di Aloe Blacc (che continuo ad ascoltare in loop e ogni volta mi viene voglia di piangere).

Lo so, non si dovrebbe recensire un film inserendo la propria opinione, bisonerebbe rimanere oggettivi, guardare il film per quello che è, e starne fuori … ma io non ci riesco, se un film scatena cosi tante emozioni in me, è un film riuscito, punto.

Cominciamo dal fatto di cronaca: estate 2018, Thailandia. Un gruppo di giovani calciatori, tra gli 11 e i 16-17 anni (si uno dei ragazzi ha “festeggiato” il suo compleanno rinchiuso nella caverna), si ritrovano intrappolati in una caverna dato che le forti piogge quell’anno arrivarono prima del previsto. La caverna lunga diversi chilometri non è ancora stata chiusa al pubblico e viene inondata dalle acque impetuose che la riempiono ad una velocità impressionante.
Viene lanciato l’allarme e Royal Thai Navy SEALs e forze speciali americane cercando di trovare i ragazzi, con la speranza di trovarli ancora in vita.
Passano i giorni, nessuna buona notizia, i ragazzi non si trovano. È qui che entrano in azione Rick Stanton e John Volanthen, due speleologi britannici che, appresa la notizia, si dirigono volontari in Thailandia. Grazie al loro aiuto, dopo 9 giorni dalla scomparsa, i ragazzi vengono ritrovati. Sono a 2 km dall’entrata della caverna, e non c’é nessun modo per estrarli vivi. Mancano 4 mesi prima che il monsone passi, l’ossigeno all’interno della caverna è al limiti della sopravvivenza, e va trovata una solutione, repidamente.
Nel cercare una soluzione, Saman Kunan, Navy SEAL thailandese, muore in un canale, ed è qui che la missone di portare i ragazzi in salvo sembra quasi impossibile… poi un’idea che pare a tutti assolutamente impossibile, pericolosa e impraticabile: sedare tutti i bambini uno dopo l’altro e trasportarli attraverso i 2 km di canale sottacqua, privi di coscienza.

Trovo incredibile come questo documentario ci lasci trasportare nella storia e ci faccia tirare un sospiro di solievo quando finalmente i ragazzi vengono trovati… ma il peggio deve ancora arrivare, trovarli vivi era la parte più semplice.
Un ansia e una tensione costante incredibile, continuiamo a chiederci anche noi come spettatori quale dovrebbe essere la prossima mossa, non crediamo la soluzione proposta sia quella giusta, e trovo sia quella la chiave incredibile della vicenda e del documentario. Nessuno ci credeva, neanche chi l’aveva pensata, era talmente assurda, talmente improponibile, che nessuno ci aveva creduto fino alla fine, era l’unica via d’uscita, era giusto tentare, ma sempre con quella paura di fondo.

Un documentario che lascia parlare le immagini, fa parlare gli autori del salvataggio, le migliaia di persone che si sono radunate insieme, per salvare quei 12 ragazzi che erano dati per morti, cosi piccoli e cosi insalvabili.
I registi, Chai Vasarhelyi e Jimmy Chin, avevano vinto l’Oscar come Miglior Documentario nel 2019 con il film “Free Solo” e probabilmente saranno messi in lizza agli Academy Award 2022 con questo altro capolavoro!

Il documetnario lo potete trovare da meno di un mese su Disney+, 1 ora 1 47 minuti di tensione e magia.

P.S. PICCOLO TRIVIA
Di questa vicenda se ne è parlato tanto e ne é stato fatto un film qualche anno fa, ma la cosa interesante è che nel film non vedremo mai intervistati i ragazzi superstiti, perchè Netflix acquisitò i diritti sulle esperienze della squadra di calcio, impedendo loro di raccontare la loro storia nel film, chissà che magari tra qualche anno vedremo un documentario anche di netflix sui fatti di quell’estate thailandese del 2018?

Belfast

Tante cartoline di Belfast a colori nel 2021 sulle note blues di Van Morrison (“Down to Joy”, nominata nella categoria “Best song” – Link alla fine della recensione ASCOLTATELA), poi attraversiamo un muro e tutto d’un tratto siamo dall’altra parte. Un piano sequenza spegne i colori e ci immerge nelle strade della città nordirlandese il 15 agosto 1969.
Dall’alto vediamo bambini giocare felici in strada, gente che rientra a casa dal lavoro e macchine che sfrecciano schivando i bambini.

Poi tutto d’un tratto un gruppo di ragazzi mascherati irrompe nelle strade, montaggio serrato e tante urla. Finestre distrutte e molotov contro le auto.
Sono passati 8 minuti del film e siamo completamente immersi nella storia, da qui in avanti … poesia.

Belfast è il film con più nomination a questi Golden Globe 2022, ben 7, tutte molto meritate!

Un film che fa emozionare; il regista, Kenneth Branagh (regista di molteplici lungometraggio come “Assassinio sull’Orient Express” e attore nel personaggio di Gilderoy Allock in “Harry Potter e la camera dei segreti”) ci apre le porte della sua vita e ci racconta di se.
Ci racconta la storia semi-autobiografica di un bambino che, ancora molto piccolo, viene catapultato in un mondo complicato e violento che lo travolge senza lascargli spazio per vivere il primo amore infantile o godersi il tempo con il padre.

La Belfast in bianco e nero che viene rappresentata nel film, se pur con una tanta violenza, ci lascia sognare. Questo grazie ai piani profondi e tridimensionali davvero mozzafiato di Haris Zambarloukos (alcuni frame di seguito).

Una tipologia di film che ci lascia respirare tutto quel cinema di cui abbiamo bisogno ogni tanto. Una storia non troppo complessa, non troppi conflitti, solo una famiglia; il suo rapporto con il mondo esterno, le sue problematiche interne, le sue debolezze, i suoi momenti di felicità e la morte.

West Side Story

Il nuovo film di Steven Spielberg è il riadattamento del famosissimo musical degli anni ’60. La storia è la stessa: due gang rivali in una strada di New York, di cui una di immigrati portoricani, si sfidano per avere il controllo del quartiere. Un componente di una gang e la sorella del capo dell’altra si innamorano, cercando di rompere le divergenze e buttandosi in pieno nell’ammmòre. Ovviamente non sarà tutto così facile visto che l’odio tra le due gang è troppo forte per essere spezzato.

Io ho un grande problema, non sopporto i musical. Questo era per me un test, visto che mi piace molto Steven Spielberg mi sono detto: se nemmeno un musical di Spielberg mi piace, vabbé non c’è niente da fare, i musical non fanno per me. E purtroppo così è stato. Inoltre, prima di vedere questo film, ho pure guardato l’originale (2 ore e mezza l’originale più 2 ore e mezza questo fanno un totale di 5 ore di musical, avevo voglia di morire).

Inizio con i lati positivi: è veramente un remake fatto alla perfezione. Spielberg riprende in pieno l’ambientazione e lo spirito del film originale. A volte riprende addirittura scena per scena e battuta per battuta. Al posto di chiamarlo remake si potrebbe dire che è un rimodernamento del film del ’60, non lo rovina assolutamente e gli fa completa giustizia. Penso sia assolutamente uno dei migliori remake che io abbia mai visto. Chiaramente alcune scene sono leggermente diverse per lasciare spazio a nuove coreografie e a nuovi spazi, per esempio le canzoni America e Gee Officer Krupke si svolgono in modo diverso dall’originale ma con coreografie veramente molto belle.

Per il resto cosa devo dirvi? La trama è la stessa, le canzoni sono le stesse, e, appunto, il film è lo stesso. Quindi la fatica di stare seduto al cinema per 2 ore e mezza a guardare persone che cantano e ballano appena succede mezza cosa era tanta. È questo il mio problema con i musical: sono troppo lenti e le canzoni spiegano fin troppo della storia e dei personaggi finché sei lì fermo a fissare lo schermo semplicemente ad aspettare che ti spieghino per l’ennesima volta come si sente tal personaggi dopo tal evento con una canzone di 5 minuti. Ma questo è un mio problema personale con i musical, e che ho avuto anche con questo.

Il cast non è male, anche se chiaramente è formato per la maggior parte da ballerini (credo) ed è quindi tutto molto molto molto teatrale (come tutti i musical vabbé). Detto questo, avete capito perché i musical non sono il mio genere e, a parte il paragrafo scritto prima, non so cos’altro dire di positivo sul film. Immagino che i fan del film originale mi staranno odiando e mi dispiace molto, mi rendo conto che è un bel film con un bel messaggio, soprattutto per un film degli anni ’60, ma proprio non ci riesco.

In generale mi sembravano tutti molto scettici sul questo progetto di Spielberg, ma, musical o no, trovo che ha fatto un remake con i fiocchi che è completamente fedele all’originale e a cui non manca niente. Rimarrà nella storia come il vero West Side Story? Non penso, ma è servito comunque come monito che qualche volta si può fare un remake fatto bene.

King Richard

L’ennesimo film biografico di questo 2021 un po’ fiacco racconta la storia di Richard Williams e la sua determinazione per far diventare le sue due figlie, Venus e Serena, delle campionesse del tennis. Penso non ci sia nient’altro da dire. Il film in realtà è avvincente e a tratti pure interessante ma ha un grande problema: dura 2 ore e 25 minuti.

Infatti il film ripercorre l’adolescenza delle due ragazze ma, nonostante siano loro il fulcro del film, non sono le protagoniste, noi seguiamo solamente il padre e tutte le decisioni che ha dovuto prendere (con molta forza) per farle arrivare al livello che sono ora. La storia non ha un vero sviluppo, semplicemente succedono cose, una dopo l’altra, e così va avanti finché oh evviva sono campionesse, si finisce con un bel montaggio e la nuova canzone di Beyoncé. Nonostante io l’abbia visto solo qualche giorno fa, non mi ricordo lo svolgimento di questo film, ricordo unicamente un evento dietro l’altro, qualche discussione tra i personaggi derivate dall’evento, e via subito con qualcosa d’altro per tirare avanti il minutaggio. Così di continuo.

Ovviamente la storia rimane un minimo interessante: le ragazze che a mano a mano salgono le classifiche e la testardaggine del padre che, insistendo, le porta dove meritano di essere. Il punto è che tutto questo è interessante soltanto perché io, spettatore, so già che Venus e Serena diventeranno effettivamente campionesse del tennis, ed è bello vedere come questo è stato possibile grazie alle insistenze del padre. Ma trovo comunque un problema il fatto che lo spettatore guarda il film unicamente perché già sa come andrà a finire, e non è minimamente interessato agli eventi effettivi. Inoltre, la loro storia non è poi un granché, visto che gli è andato letteralmente tutto nel verso giusto. Non sembra esserci nessuna sfida in questo film, c’è sempre Richard in prima linea a difenderle e ad aprire la strada (a parte in un momento del film, ma vabbé poi cambia idea).

Will Smith immagino sia bravo? Non ve lo so dire con certezza perché per tutto il film fa questa faccia:

Nominato a qualche Golden Globe, tra cui miglior film drammatico, miglior attore protagonista e miglior attrice non protagonista (la madre), uno dei tantissimi film biografici di quest’anno, che si perdono come aghi in un pagliaio tra tutti quelli che guardi e nel giro di qualche settimana hai già dimenticato. Un lato positivo c’è: la nuova canzone di Beyoncé, anche questa nominata ai Golden Globe come miglior canzone, che una volta ascoltata non ti si toglie dalla testa.

CODA

Vorresti che fossi sorda?

Quando sei nata, all’ospedale, ti hanno fatto lo screening audiologico. Te ne stavi li con il tuo dolce faccino, mentre ti attaccavano elettrodi dappertutto. Io … pregavo che fossi sorda.

Dialogo tratto dal film

Buon inizio direi… anche se in realtà non è l’inizio del film, ma da questa frase possiamo iniziare a parlare di questo film, che per qualche strana ragione (ancora sconosciuta), è nominato a ben due Golden Globe: “Miglior Film Drammatico” e “Miglior attore non protagonista” per Troy Kotsur (il padre).

Siamo in America in una cittadina di pescatori, tutta la famiglia di Ruby è sordomuta tranne lei, la protagonista del nostro film (“nostro film” solo perchè è nominato ai Golden, sennò non mi sarei mai sforzato di guardarlo).


Iniziamo a conoscere la famiglia:
Ruby si sveglia alle 3 di mattina, seguiamo lei e la sua famiglia in mare per una mattinata di pesca, poi andiamo a scuola con lei che si addormenta sul banco, puzza di pesce, viene bullizzata sia dai compagni che dall’insegnante di coro (che in realtà insulta tutti in generale).
Ruby torna a casa e piange.

Beh, direte voi, storia avvincente. No infatti … e la cosa magica è che la storia non evolve per nulla durante tutti gli interminabili 111 minuti (devo ammettere che gli ultimi 15 minuti li ho guardati a 1.5 di velocità perché non ce la facevo più).

Questo sarebbe davvero un film perfetto per Disney Channel:
Abbiamo la ragazzina bullizzata a scuola, che avrà una storiella d’amore con il figo della scuola, la ragazza ha il sogno di cantare che però non può inseguire perché deve lavorare nella ditta di famiglia, avremo il conflitto in famiglia, poi il conflitto con l’insegnante, e alla fine (spoiler) tutti diventano gentili e la fanno partire per il suo sogno e viene ammessa alla scuola di canto migliore d’America.

Davvero non saprei cosa dire di questo film, trattare una tematica cosi profonda, in maniera cosi superficiale è davvero un peccato. Un film che aveva lasciato a bocca aperta parlando della stessa complessa realtà, era Sound of Metal di Darius Marder. Quello si che era un film che ti faceva immergere, che ti faceva soffrire, che ti sbatteva davvero in faccia la realtà cruda dell’essere sordi.

Tornando al film con 2 nomination di quest’anno, vorrei concludere con un altra citazione, o meglio descrizione di una scena, scena finale che da una boccata d’aria al tutto.
I due fidanzatini sono sulla scogliera dove si sono dati il primo bacio, si salutano li per l’ultima volta prima che la ragazza parta per Boston. Lei gli chiede “Verrai a Boston a trovarmi?” e lui “Non lo so … Forse scapperai via con un violoncellista che porta il borsalino” e lei di rimando “si, probabilmente”. Si baciano e si tuffano. Fine della scena. WOW, e ancora una volta rimango affascinato dalla poesia di questo film.

Tick, Tick… Boom!

La storia di come Jonathan Larson ha cambiato Broadway. Il nome non vi dice niente? Tranquilli, non siete gli unici. Anche io guardando il film non avevo la più pallida idea di chi fosse, cosa che non è cambiata molto dopo la visione del film, perché mi racconta cosa ha fatto ma l’interesse verso quello che ha fatto in ogni caso non c’è. Detto questo, “tick, tick…boom!” racconta la sua storia attraverso le canzoni scritte da lui, in particolare di due pièces teatrali: Superbia, durante il film lui sta finendo di scriverla e vuole portarla a Broadway, e tick, tick… boom, che dà il titolo al film.

Per quanto non mi piacciano i musical, questo l’ho trovato molto simpatico e abbastanza diverso ad altri musical biografici. La storia si sviluppa in due linee parallele: il passato dove lui sta scrivendo Superbia e il suo presente dove si sta esibendo con tick, tick… boom, che è un teatro proprio sulla sua vita. Le canzoni di tick, tick… boom sono quelle che noi sentiamo e che fanno andare avanti la narrazione evento dopo evento. Le canzoni sono molto particolari, alcune anche divertenti, non ci troviamo di fronte alle solite canzoni d’amore melense e tutte uguali, ma, come dice lui in una scena: “ho scritto una canzone sullo zucchero in 3 ore”. Quindi potete capire come questo elemento trovava spunto veramente in ogni cosa pur di esercitarsi a fare quello che amava.

La cosa che rende il film molto più coinvolgente è che la storia di Larson è completamente normale. Non è nessuno di speciale e, anzi, noi capiamo esattamente quello che sta passando. È da qui che nasce il “tick, tick… boom“: il tick tick di una bomba che potrebbe esplodere da un momento all’altro, è la pressione che proviamo tutti nel dover trovare i soldi per pagare l’affitto, per pagare la spesa, è la pressione nel dover portare a termine ogni compito nella data limite ma procrastinando fino all’ultimo, è la pressione di dover stare all’altezza delle proprie aspettative mentre ogni anno l’età avanza, è la pressione di dover far tutto questo mentre cerchiamo di tenere salde le nostre amicizie e avere contatti con la nostra famiglia, è la pressione della vita di ogni giorno.

La disperazione che porta questo tick tick è quello che per me rende il film molto umano (ovviamente, tralasciando le scene dove tutti cantano e ballano, per questo non mi piacciono i musical) e che ti lascia incollato allo schermo nonostante il tuo interesse per la storia è sotto zero. Ed è molto importante come cosa perché, immagino che al di fuori del Stati Uniti, soltanto gli appassionati di musical conoscano effettivamente Jonathan Larson, gli altri guardano il film per due motivi: è nominato ai Golden Globes, Andrew Garfield è protagonista. Questa resa umana della storia permette anche alle persone ignoranti nel campo (come me) di godersi il film.

Il film lo potete recuperare su Netflix, se volete trovarvi qualcosa di diverso dal solito e un musical un po’ fuori dagli schemi, proprio come Larson in persona.

Matrix Resurrections

Diciotto anni dopo la conclusione (perfetta) della trilogia, Lana Watchowski, Keanu Reeves e Carrie-Anne Moss tornano per aggiungere un altro capitolo alla saga di Matrix. Ambientato 60 anni dopo Matrix Revolution, si scopre che fine hanno fatto i nostri due eroi e come l’umanità potrà sopravvivere grazie al sacrificio di Neo. Ma la vera domanda è: era veramente necessario?

Proverò nei limiti del possibile di fare una recensione senza spoiler, ma vi dico già che racconterò almeno l’inizio del film, perché è la parte che mi è piaciuta di più e di sicuro la più interessante.

Dunque, come detto prima, ritroviamo finalmente l’Eletto. Si capisce fin da subito che è incastrato ancora una volta nel Matrix, ma stavolta non sembra rendersene conto. In questo Matrix, Thomas Anderson è un famosissimo sviluppatore di videogiochi che, indovinate un po’, ha creato la trilogia videoludica di più successo del mondo: la trilogia di Matrix. Tutto quello che lui ha vissuto non sono altro che avventure per console a cui tutto il mondo ha potuto giocare. Il suo capo riceve una richiesta dai piani alti: la Warner Brothers vuole assolutamente che loro facciano Matrix 4, se non lo faranno, beh la Warner si prende i diritti e lo farà da sola. Non so se conta come spoiler questo, sono solo i primi 20 minuti di film abbiate pietà.

Con un introduzione del genere ero al settimo cielo: troviamo Neo bloccato in questo Matrix dove i suoi ricordi sono mischiati con la realtà e in cui non riesce più a distinguere se quello che ha vissuto è vero o semplicemente delle scene del videogioco da lui creato. Per non parlare di tutti i discorsi riguardanti la prima trilogia: così come nella realtà, anche in questo film la trilogia di Matrix ha avuto un grande successo (sottoforma di videogiochi), e molto spesso ci sono discorsi su cosa Matrix rappresenta per la società (ed è molto bello vedere le reazioni di Neo quando ci sono questi discorsi). Vediamo quindi differenti punti di vista della trilogia nello stesso film di Matrix: da quello che dice che rappresenta la lotta per il libero arbitrio, ad un altro che “Matrix è la scena dove il tizio schiva i proiettili”, il tutto scritto da una delle registe della trilogia originale, una figata insomma. Si scherza molto spesso sul fatto che Matrix 4 è inutile e innecessario, e fa abbastanza ridere perché è vero anche per il film.

È inoltre ancora più interessante questo paragone film/videogiochi in quanto anche per promuovere il film è uscito un videogioco evento chiamato Matrix Awakens, uno dei primi in Unreal Engine 5, e che i due attori protagonisti si sono a loro volta cimentati durante la loro carriera proprio a far parte di un videogioco (Cyberpunk per Keanu Reeves e Mass Effect per Carrie-Anne Moss).

Insomma, poteva benissimo finire qui. Il film si perde poi in mille spiegoni lunghissimi, zero originalità e una trama fine a sé stessa che non va da nessuna parte. Il finale del film non è nemmeno completo, non si sa che fine fanno determinati personaggi o che conseguenze hanno avuto le azioni dei protagonisti.

Persino gli attori non sembrano avere molta voglia di fare parte del film, soprattutto Keanu Reeves che non è più convincente nel ruolo di Neo come nella vecchia trilogia, in alcune scene non sembrava per niente a suo agio. Altra nota dolente è la mancanza di Laurence Fishburne (Morpheus) e soprattutto di Hugo Weaving (l’agente Smith). Il primo perché, essendo passati 60 anni dall’ambientazione di Matrix Revolution, il suo personaggio è ormai morto, il secondo non ha potuto farne parte per conflitti con altri progetti. Di conseguenza un altro attore interpreta l’agente Smith, e cosa volete che vi dico? Ovviamente è pessimo, non si può sostituire Hugo Weaving in nessun caso.

Persino le scene d’azione, così iconiche nella trilogia nonostante fossero fatte con gli effetti speciali degli inizi del 2000, sono dieci gradini più in basso rispetto a quelle che già conosciamo. Entriamo veramente nel film d’azione tipico senza niente di speciale o di particolare. Ed era forse questo che il pubblico si aspettava di più: vedere l’azione che c’era nei film passati con la tecnologia che abbiamo adesso. Ma no, nemmeno questo.

Finisco col dire che un altra cosa ha penalizzato il film. Durante alcune scene, soprattutto all’inizio, Neo ha dei flashback del suo passato (noi vediamo estratti dei film precedenti) in casi in cui cose simili ai suoi ricordi succedono. Ogni volta che vedevo una scena dei vecchi film non riuscivo a non pensare “ma ecco, guarda come l’avevano fatto bene, che bisogno c’è di farlo così stavolta?”. Non so quale fosse lo scopo di mettere quelle scene, ma mi hanno dato solo un motivo in più per paragonare questo film ai precedenti, di gran lunga migliori.

Per quanto l’inizio fosse figo, non salva un film che non ha una trama ed è pieno di incongruenze, fatto per chissà quale motivo con metà del cast originale. È ancora più triste vedere come, dopo aver concluso una trilogia in modo perfetto e con costante originalità nei tre film, bisogna per forza aggiungere altro solo per richiamare “i bei vecchi tempi”, quando di quei tempi non si ritrova un bel niente.

Don’t look up

Due astronomi fanno una scoperta scioccante: una cometa grande come l’Everest si schianterà sulla Terra tra 6 mesi e 14 giorni. Se non si trova un modo per deviarla, la Terra verrà distrutta e la razza umana sarà estinta definitivamente. Il tempo scorre e, tra interviste in televisione e incontri con la Presidente degli Stati Uniti, cercano di far capire al mondo la gravità della situazione e l’importanza di trovare una soluzione il più presto possibile.

Già si sa che Adam McKay è un grande (La Grande Scommessa e Vice), ma con Don’t look up arriva ad un altro livello. Prima di iniziare vi devo dire che questo film è stato scritto nel 2019, quindi prima dell’arrivo del Covid, prima delle quarantene e prima dell’ondata di ignoranza mondiale tra teorie complottiste e negazione della realtà. Di per sé é già difficile scrivere un film la cui storia si rivelerà poi una profezia, ma McKay è riuscito a farlo in tempo di record. Don’t look up è l’immagine esatta di quello che stiamo vivendo ora, senza se e senza ma.

È impossibile parlare linearmente di questo film, è veramente carico di significati, critiche e frecciatine sulla società attuale che si perderebbero ore solo per parlare di 10 minuti di film. Provo a soffermarmi quindi su alcuni punti che più mi hanno colpito.

I due astronomi (DiCaprio e la Lawrence) vengono invitati al talk show più importante del paese per parlare della loro scoperta, ma non possono dire che questa indica anche l’estinzione dell’umanità. Loro cercano, nel modo più semplice e delicato possibile di spiegare cosa hanno scoperto, ma i due presentatori continuano a scherzarci sopra dicendo che “bisogna fare così, non si possono dare brutte notizie”. Ed è proprio qui che noi viviamo. Se c’è una cosa brutta con una chiara certezza che succederà, cosa ci viene detto? “È tutto sotto controllo, fate quello che diciamo noi”. Il resto sono solo dettagli, l’importante è che non ci siano cattive notizie e che tutto sia sotto controllo. Ovviamente, alla fine dell’intervista la Lawrence sbotta, urlando e piangendo, dicendo che stanno effettivamente per morire tutti ed è inutile metterla sul ridere. Il risultato di ciò è essere derisa per la scenata e diventare un meme. Eh si, ci sono pure dei meme sulla Lawrence che piange.

Nonostante l’esagerazione del tutto (come la scena che vi ho appena raccontato), tutto è reale. Un intervista così oggi avrebbe la stessa esatta reazione del pubblico su internet. Ed è proprio qui che il film incastra lo spettatore: ci rendiamo conto della follia di ogni scena, ma al tempo stesso sappiamo che oggi è la realtà! Te ridi al tempo stesso della scena e della realtà, perché sai esattamente che quell’azione ottiene la stessa reazione fuori dal film. Questa è la genialità di McKay.

Molto importante è anche Madame President Meryl Streep, che interpreta praticamente Trump al femminile. Sin dall’inizio ignora i due astronomi, fino a quando ci sono le votazioni del midterm e quindi li richiama solo per fare bella figura (non ditemi che non è reale!). C’è poi Mark Rylance nei panni di un moderno Steve Jobs che ha finanziato la campagna elettorale della Meryl, e che quindi ha più potere lui che la presidente in persona. Insomma, ci troviamo veramente in una caricatura della realtà. Non voglio scendere troppo nei dettagli sullo sviluppo della trama perché ogni cosa che succede è veramente geniale!

Così come ogni persona ignora gli avvisi dei due astronomi, anche il film lo fa molto spesso, con un montaggio veloce (tipico McKay) e inserendo in continuazione nuovi discorsi inutili che prendono più importanza della cometa in avvicinamento: le due pop star che si mollano, il nuovo telefono che sta per uscire, e chi più ne ha più ne metta. Il film è rapido nel montaggio così come tutti i discorsi inutili che si accavallano uno sopra l’altro senza lasciare praticamente più spazio per parlare della catastrofe. Insomma, la chiave è proprio quella di ignorare i problemi: sembra familiare?

Il film non è solo interessante per tutte le critiche sociali in chiave comica, ma è ancora più importante nella situazione specifica che stiamo vivendo adesso. Il covid è la nostra cometa in avvicinamento, noi siamo quelli che la ignorano per fare quello che vogliamo quando vogliamo, rischiando inutilmente di morire. E, ripeto ancora una volta, questo film è stato scritto un anno prima della pandemia, ed è impressionante come tutto combacia. McKay ci ha pure aggiunto i negazionisti che dicono che la cometa non esiste, più chiaro di così!

Mi sento di dire una sola critica, che è più che altro un dispiacere. Il film mette in centro solamente gli Stati Uniti e la loro Presidente, mettendo da parte gli altri paesi e nominandoli solo qualche volta. Lo trovo un pò un peccato, sarebbe stato molto interessante anche vedere la dinamica delle diverse potenze in un caso di crisi globale estrema (così come l’abbiamo vissuta). Però il film ci regala più scene di Meryl Streep presidente, quindi va bene lo stesso.

Avrei probabilmente altre mille cose da dire su questo film, ma vi lascio con una canzone presente nel film (che farà parte della Hateful Playlist) di Ariana Grande, perché si, c’è pure lei nel film. Leggete bene le parole e pensate a cosa stiamo vivendo adesso. E per favore correte al cinema (oppure, dal 24 dicembre su Netflix) perché questo è di sicuro il film più importante dell’anno.

Dune

Si ritorna sul pianeta Arrakis: dopo 37 anni dal film di David Lynch, Dune torna al cinema. Il libro che ha fatto sognare tantissimi registi è finito nelle mani di Denis Villeneuve, che da qualche anno sta prendendo piede nel genere fantascientifico, e lo sta facendo molto bene.

Dopo la prova molto difficile nel fare il sequel di Blade Runner (per me, superata in pieno!), Villeneuve si cimenta in questa guerra galattica tra le casate Harkonnen e Atreides. Affiancato da un cast stellare (Timothée Chalamet, Zendaya, Oscar Isaac, Jason Momoa, Javier Bardem, e molti altri) ci presenta un film diverso da quello che tutti si aspettavano, ma per buone ragioni.

Come già si sapeva, in realtà il titolo non è Dune, bensì Dune: Part One, e ricopre unicamente la prima metà del primo libro della saga di Frank Herbert. Insomma, tutti siamo entrati al cinema pieni di speranze trovandoci di fronte un cast pazzesco, un regista che fa miracoli e la colonna sonora spaccatimpani di Hans Zimmer. Personalmente, devo dire che le aspettative che avevo sono state raggiunte. Ovviamente rimane sempre un po’ l’amaro in bocca di non avere un vero finale e non vedere nessuna mega battaglia epica, ma era abbastanza ovvio essendo solo la prima metà del libro.

Il film è quindi abbastanza lento (per essere un blockbuster di questa portata) e si concentra molto a raccontare l’universo in cui è ambientato piuttosto che passare alla solita azione insensata tipica dei film di questo genere. Siccome nel libro da cui è tratto i dettagli sono moltissimi, è praticamente impossibile capire tutto in una sola visione. È abbastanza chiaro che Villeneuve si è concentrato su alcuni argomenti sviluppandoli di più, e lasciandone altri un po’ così a vuoto. Per esempio spiega abbastanza bene cosa rappresenta l’ordine delle Bene Gesserit, ma lascia completamente in disparte cosa sia un Mentat. In poche parole, guardare il film è esattamente come leggere il libro senza andare a vedere le definizioni delle parole inventate da Herbert. È chiaramente un peccato, ma siccome quell’universo è così grande e complesso era impossibile fare meglio di come ha fatto Villeneuve.

I fan del libro possono stare tranquilli: ci sono veramente poche scene aggiunte o modificate, il resto è tale e uguale. Guardando le scene che passano ti rendi quasi conto a che capitolo sei in quel momento e quale scena ci sarà dopo: una ricostruzione fatta veramente bene in ogni dettaglio. Siccome è solo la prima metà del libro, il film non passa ancora moltissimo tempo nel deserto di Arrakis, ma quel poco che si vede ce lo mostra in tutto il suo splendore, trovando anche uno stratagemma per filmare la spezia. Proviamo veramente la sensazione di essere lì con loro, proprio come la si prova leggendo il romanzo.

Non c’è molto da dire per quanto riguarda gli attori. Tutti bravissimi ed azzeccati nei ruoli (non vedo l’ora che Dave Bautista torni nei panni di Rabban), in particolare mi è piaciuto un sacco Stellan Skarsgaard che interpreta il Barone Harkonnen. In una tuta che lo rende enorme, completamente pelato e in molte scene uguale a Marlon Brando in Apocalypse Now (quando fa il bagno nel fango è chiaramente un richiamo a lui) rende un personaggio che non avevo particolarmente amato nel libro molto più interessante di com’era su carta.

Non posso non nominare anche la colonna sonora fuori di testa del grandissimo Hans Zimmer. Non so cosa si sia fumato stavolta, ma ha veramente tirato fuori un capolavoro. Al cinema, le sue canzoni ti tiravano dentro con la forza nell’ambiente del film con tamburi e urla in lingue che ancora non ho capito quali sono. In molti dicono che ha un po’ esagerato, io gli dico grande Hans continua così.

Ovviamente, Dune: Part Two è già in produzione, con gran parte del cast già in sella e Villeneuve alle redini. Il regista ha veramente confermato di essere capace a fare tutto, persino di portare al cinema il più agognato libro di tantissimi registi, e con un ottimo risultato. Non ci resta che aspettare il 2023 per vedere cosa combinerà, e soprattutto se Hans Zimmer ha ancora un po’ di quella roba buona.