Baz Luhrmann torna al cinema dopo 9 anni (Il Grande Gatsby era tanto tempo fa) con il film più pubblicizzato di quest’anno: la nuova biografia di Elvis Presley. Austin Butler nei panni di Elvis affiancato da Tom Hanks come il manager Colonnello Tom Parker, “The Snowman”. La storia è proprio lui a raccontarla, sul suo letto di morte, partendo da quando ha conosciuto Elvis e da come l’ha fatto diventare, beh, Elvis. Tutto questo in 2 ore e 40 minuti che non passano con facilità.
Lo stile di Luhrmann è inconfondibile: pieno di luci, sfarzi e movimenti di macchina velocissimi, soprattutto nelle transizioni, che da un lato danno originalità ad un film che di originale non ha nulla, dall’altro confonde molto il racconto. Sono proprio queste transizioni che, molto spesso, tagliano le scene senza dare nemmeno il tempo di presentare una situazione, perché già si passa alla prossima. In particolare all’inizio del film, succede un susseguirsi di eventi, uno dietro l’altro, a cui non si riesce a dare la minima attenzione: tutto troppo veloce e tagliato da queste transizioni esagerate. Andava tutto talmente in fretta che mi sembrava fosse già passato metà film, ma no, erano passati solo 30 minuti.
Il film va avanti in questo modo per un bel pezzo, a mano a mano che continua queste transizioni diminuiscono, ma le scene tagliate non permettono di aver nessun contatto con i personaggi. È tutto veloce, è tutto asettico, è tutto assente. L’interpretazione di Austin Butler, per quanto buona fosse, viene lasciata lì così, senza nessuna scena in cui brillare perché di scene intere ce ne sono poche. Questo rende Elvis una sorta di pupazzo per tutto il film. Lo vediamo nei suoi diversi stili ma senza una personalità diversa. Prima Elvis giovane, poi “il nuovo Elvis”, poi è attore, fa un revival e muore. Voilà la storia di Elvis, quello che cambia è l’abbigliamento.
Preferisco non parlare di Tom Hanks perché non voglio insultare quell’uomo. A parte che il trucco lo rendeva più Jabba The Hutt che essere umano, Hanks non si è proprio impegnato a dare questa interpretazione.
Un’altra cosa che mi ha molto infastidito è il ridoppiaggio di tantissime battute nel film. Un sacco di volte vediamo un attore di spalle che si vede chiaramente che non sta parlando, ma sentiamo la sua voce. Alcune volte, ancora peggio, un personaggio sullo sfondo sfocato che fissa la camera che non sta chiaramente parlando, ma si sente la sua voce! Non si sono nemmeno impegnati a nasconderlo.
Nonostante il film parlasse di Elvis, la colonna sonora viene dritta dritta dalla playlist Top 50 Global 2022 di Spotify, una cosa imbarazzante come non siano stati capaci a scegliere delle canzoni adatte al periodo storico in cui è ambientato il film. Quindi noi vediamo una scena dove Elvis parla con B. B. King e in sottofondo sentiamo Doja Cat. Mentre nei titoli di coda ci accompagna Eminem. Non c’è più religione.
Inutile dire che queste 2 ore e 40 sono molto pesanti, anche perché, siccome il film va avanti per inerzia anche dopo 10 minuti, non ti dà mai la sensazione di “ah ecco adesso siamo quasi alla fine”, perché tutto il film sembra la parte centrale. La struttura della storia è abbastanza fottuta e ci ritroviamo con 10 minuti di introduzione con Tom Hanks impazzito, 2 ore e 20 di svolgimento, e 10 minuti di conclusione (stavolta con Tom Hanks morto).
Sono fermo sul parere che i film biografici di artisti musicali siano il genere più piatto e deludente che sta prendendo sempre più piede nel cinema, facendo incetta di soldi e di premi anno dopo anno. È la ricetta perfetta per accaparrarsi i fan dell’artista e fare incassi facili, lasciando da parte qualsiasi parvenza di originalità e, in questo caso, di narrativa. Vi saluto, sperando di non dover recensire la storia di qualche altro cantante.