Dogman

Da dove si inizia a parlare di un film come Dogman? Qual è la strada più giusta per analizzarlo?

Tanta violenza cruda e realistica, una narrazione lineare tra il brutto e il bello, tra il giusto e lo sbagliato. Possiamo partire da una frase di Pasolini che diceva: “Finché l’uomo sfrutterà l’uomo, finché l’umanità sarà divisa in padroni e servi, non ci sarà né normalità né pace. La ragione di tutto il male del nostro tempo è qui”. Questo film ci racconta esattamente questo. Garrone disegna un mondo brutto, lasciato andare, racconta una realtà e lo fa in modo veritiero. Uno sguardo pasoliniano della società, una realtà cruda e violenta tratta dall’omicidio del “Canaro”, evento di cronaca nera avvenuto a Roma negli anni Ottanta.

Veniamo catapultati in una cittadina omertosa, semi abbandonata e semi distrutta, dove sembra che la giustizia non esista e ormai si vive sotto la legge del più forte. L’unico spiraglio di bellezza arriva da Marcello, un piccolo uomo che invoca sottovoce il suo popolo, che ormai ha perso la speranza e la fiducia nella figura umana.
Marcello si rivolge alla figlia, ai suoi cani, agli amici, con un dolce e timido « amore », pronunciato sempre con un grande sorriso. Un sorriso che nel contesto crea subito contrasto, che cerca di riaccendere in noi la speranza nell’essere umano, che prova a farci giustificare le sue azioni irrazionali.

Per tutto il film ruotiamo intorno ai personaggi in maniera precisa e ben studiata, non solo dal punto di vista metaforico, ma anche dal punto di vista della messa in scena. Lunghi piani sequenza ci accompagnano da un interno ad un esterno, da un’azione all’altra, dalla morte alla rinascita (mi riferisco al piano sequenza del cane congelato che viene tirato fuori dal frigo, adagiato nel lavandino, riscaldato e accompagnato a camminare di nuovo). Questi piani sequenza hanno una funzione ben definita: raccontarci parte di una scena e portarla a termine. Infatti possiamo notare che ogni piano sequenza termina con la fine di una scena, un’idea matematica che Garrone non tradisce per tutto il film. Una piccolezza che durante tutto il film mi ha tenuto saldamente concentrato, facendomi muovere tra i personaggi e preparandomi al duro finale.

102 minuti durante i quali matura una cattiveria estrema, minuti interminabili e sospesi, in cui continuiamo a sperare in una rivolta, in un cambiamento. Sentiamo la pressione su Marcello, motiviamo le sue azioni, cerchiamo di scagionarlo dal suo atto vendicativo, per poi accorgerci che, oltre ad essere il suo sfogo finale, è un modo per farsi notare dagli altri, per diventare anche lui “un vero uomo”. Un tentativo che però risulta funzionare solo nella mente di Marcello. La sua azione lo porterà solo ad aver commesso un crimine non giustificabile, passando così dalla parte del torto e diventando anche lui un “cattivo tra i cattivi”.

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BlacKkKlansman

“Io odio i neri. Odio gli ebrei. I messicani e gli irlandesi. Gli italiani e i cinesi. Ma soprattutto odio a morte quei vermi neri, lo giuro su Dio. E chiunque altro non abbia puro sangue bianco ariano che gli scorre nelle vene. Dio benedica l’America bianca!”

Queste sono le parole che Ron Stallworth, primo agente di polizia afroamericano del Dipartimento di Polizia di Colorado Spring, afferma al telefono parlando con il responsabile del Ku Klux Klan della zona. Una telefonata che lo farà infiltrare nel gruppo degli “ariani del White Power”, pur facendo parte del gruppo etnico perseguito dal clan.

Un raffinato poliziesco portato quasi a un livello comico, un umorismo che Spike Lee riesce ad inserire senza “infangare” la tematica profonda del film.

Il film riesce a generare una potente riflessione contro il razzismo, mettendo allo stesso livello i due movimenti: il white power e il black power. Un esempio di questo “mettere tutto allo stesso livello” lo troviamo durante gli incontri segreti dei due movimenti: il regista utilizza un montaggio parallelo molto serrato, arrivando così a rendere le due riunioni apparentemente “razziste” verso l’etnia opposta.

Il film si conclude con una transizione dalla fiction alla realtà molto cruda e gelida. Passiamo dagli anni Settanta all’attacco risalente al 12 agosto 2017 a Charlottesville. Vediamo le immagini così come sono state documentate dai passanti e riviviamo quel tragico giorno ammutoliti. Quello che sullo schermo era un film si tramuta duramente nella realtà, una realtà che abbiamo letto tutti sui giornali, ascoltato alla radio, vissuto durante i telegiornali.

In un’intervista inerente al film, Spike Lee dice: “Il cinema per me è un mezzo per far partire un dibattito. Se la gente si alza dalla sala e parla di quello che ha visto, e pensa, e discute, beh allora io come regista sento di aver raggiunto il mio obiettivo” (mymovies.it, ottobre 2018)

E direi che ci è riuscito pienamente. Blackkklansman è un film che fa discutere e che arriva assolutamente nel momento giusto. Le ingiustizie raziali le sentiamo ancora oggi, e questo film ci sbatte in faccia la realtà degli anni ’70, e in contemporanea la problematica dei giorni nostri.